L’autonomia economica è indispensabile nei percorsi di uscita dalla violenza domestica.
In Spagna dal 2004 è in vigore una legge che dedica un intero capitolo alla questione.
In Venezuela Banmujer, la Banca di sviluppo delle donne, sostiene progetti di autopromozione sociale.
“ … La violenza economica è quella di cui si parla meno, ma ha una relazione molto forte con la possibilità delle donne, percepita e reale, di uscire da una relazione violenta. La maggior parte delle violenze avvengono in famiglia e sono perpetuate da un uomo da cui le vittime sono o sono diventate economicamente dipendenti. Non avere risorse per mantenere se stesse e, in molti casi, anche i propri figli, è uno dei fattori che ricacciano le donne sotto il dominio di un uomo violento. Da un punto di vista delle politiche, intervenire con un sostegno economico per le vittime potrebbe avere degli effetti molto immediati e concreti nel garantire alle donne la possibilità di pensare e agire la propria fuoriuscita dalla violenza.
Nel 2004 il governo spagnolo ha varato una legge organica di protezione dalla violenza di genere. La legge affronta diversi aspetti della violenza e sono tutti accompagnati da misure concrete: dalla prevenzione, all’obbligo alla formazione del personale scolastico, al sostegno ai centri antiviolenza, tra queste. Un intero capitolo è dedicato al diritto economico e lavorativo delle donne che hanno subito violenza. Le donne che hanno denunciato un uomo violento o che sono state riconosciute vittime di violenza da un pubblico ministero possono chiedere e ottenere la sospensione con reintegro obbligatorio del loro contratto di lavoro per un massimo di sei mesi, in questo caso, come con la maternità, è lo Stato a farsi carico delle spese. Si può anche chiedere il trasferimento presso altra sede per motivi di sicurezza. Inoltre le lavoratrici dipendenti vittime di violenza hanno diritto a flessibilità di orario (con relativa diminuzione dello stipendio) e ai permessi necessari per affrontare il proprio percorso di fuoriuscita dalla violenza. Infine, è vietato per legge licenziare una donna vittima di violenza e se è la donna a doversi licenziare mentre segue un percorso di fuoriuscita dalla violenza avrà diritto alla disoccupazione come se fosse stata licenziata.
Le lavoratrici autonome vittime di violenza, hanno diritto alla sospensione dalla tassazione fino a un massimo di sei mesi nel caso in cui sospendano la propria attività. E hanno diritto a recedere tutti i contratti in atto senza penale. Le donne che invece si trovano in uno stato di disoccupazione hanno diritto a una corsia preferenziale e personalizzata di formazione e reinserimento lavorativo accompagnata da un sistema di sussidi e aiuti economici:
– Incentivi per favorire l’inizio di un’attività in proprio
– Incentivi per le imprese che assumono donne vittime di violenza di genere
– Aiuto economico per favorire la mobilità geografica
– Corsia preferenziale per l’assegnazione di alloggi popolari
– Incentivi per compensare la disparità salariale
– Protocolli con le imprese per facilitare l’assunzione di donne vittime di violenza
A queste forme di sostegno si aggiunge il “reddito attivo di inserimento lavorativo” per cui le donne che intraprendono un percorso assistito di inserimento lavorativo godono di un sussidio che va dai sei ai dodici mesi che diventano diciotto-ventiquattro in caso di invalidità della donna o di un familiare a carico. Trovare un lavoro non è semplice, possono essere vittime di violenza donne non più giovani o senza competenze specifiche, in questo caso è previsto un sussidio economico extra che le aiuti a far fronte a un percorso di autonomia che sarà più lungo.
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“La violenza contro la donna attraversa tutti gli strati sociali,se una donna è vulnerabile dal punto di vista economico, se dipende dal marito o dal compagno per il sostentamento è naturalmente più esposta alla violenza. In Venezuela la legge contempla 19 tipologie di violenza di genere, una delle più serie è la violenza patrimoniale», dice al manifesto Eneida Castillo, una delle fondatrici di Banmujer, in Venezuela: la Banca di sviluppo delle donne — spiega la dirigente — creata dalle donne l’8 marzo del 2001 e confermata da Hugo Chavez con una legge abilitante subito dopo».
Un progetto di autopromozione sociale rivolto alle donne delle comunità «affinché si uniscano e creino progetti socioproduttivi a seconda delle loro passioni ed esigenze, contribuiscano alla produzione sociale ma anche a moltiplicare la coscienza politica, l’autonomia e il lavoro collettivo». Un percorso compiuto insieme al Ministero per il potere popolare per l’Uguaglianza e di genere, che amplifica anche in questi giorni le iniziative di Banmujer durante la campagna «Chi ama non maltratta», che si svolge in tutto il paese.
«In questi anni — dice Eneida — abbiamo erogato 500 crediti per progetti di manifattura, commercio, servizi, 6.500 per progetti agrari, 403 rivolti alle nostre sorelle indigene, 403 alle afrodiscendenti, 425 alle diversamente abili, 9 alle donne private di libertà, in collaborazione con il ministero delle Carceri. E a un certo punto, abbiamo anche dovuto far fronte alle proteste degli uomini, esautorati dal loro consueto potere».
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L’ha ribloggato su Unite in Rete – Firenze.